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Ferrari e Ducati: così vicine geograficamente, così distanti nei risultati

In questo 2023 motoristico non può non colpire la diversità di prestazioni delle due Rosse italiane. Come mai la scuderia di F1 non riesce a recuperare, mentre quella di MotoGP stravince? E' questione di metodo e di tranquillità  

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Al GP di Monza in programma nel weekend la Ferrari arriva da quarta della classifica generale con 201 punti contro i 540 della Red Bull. Un divario impressionante che illustra perfettamente l'andamento di un 2023 che era stato annunciato come quello della ripresa e del riscatto dopo un periodo difficile, e che al contrario si sta rivelando l'ennesimo flop.

Dati alla mano, quando sono stati disputati 13 GP, la Rossa è salita sul podio solamente tre volte, tutte con Charles Leclerc, mentre per qualche ragione Carlos Sainz non è mai riuscito a trovare la quadra. Complessivamente il film raccontato dal team in questo campionato è più o meno l'esatta replica di quelli precedenti. Quando si presentano occasioni utili per raccogliere, manca all'appello; se le condizioni della pista sono complesse, latita, e ugualmente, tra il muretto e i piloti continuano ad esserci delle incomprensioni che portano all'insucesso. E' chiaro dunque che la bussola è smarrita. Dal 2007 con Kimi Raikkonen (come la Ducati che vinse con Stoner quell'anno e poi più sino al 2022!), la Rossa non trionfa più tra i driver e tra i costruttori la situazione è altrettanto allarmante, visto che è a secco dal 2008. Non certo quanto ci si aspetterebbe da una Casa con il suo blasone e le sue risorse finanziarie.

La domanda che tutti si pongono e di cui probabilmente neppure i protagonisti conoscono la risposta, è come mai si sia arrivati ad un digiuno tanto prolungato. Colpa forse dei numerosi avvicendamenti al vertice e dei rimescolamenti nella squadra corse? Può essere, dato che le certezze hanno cominciato a venire meno con la rimozione di Jean Todt dal ruolo di responsabile dell'equipe al termine dell'annata vincente di Iceman. Di solito si dice che un gruppo vincente non dovebbe mai essere alterato nella sua forma, ma evidentemente a Maranello non è così.

In zona Modena il marchio in sé deve sempre primeggiare, relegando in secondo piano il contribuito degli individui, a costo di ritrovarsi in un impasse come quello attuale. Pensiamo invece all'esempio opposto rappresentato dalla Red Bull che schiera il trio Christian Horner, Helmut Marko e il progettista Adrian Newey praticamente dal principio della sua avventura in F1 nel 2005, e che forse, anche per merito della continuità, sta vivendo il suo secondo ciclo di dominio. Lo stesso dicasi per la Mercedes, fedele a Toto Wolff anche ora che le cose non vanno più alla grande.

Passando dalle quattro alle due ruote, è interessante notare come al contrario del Cavallino la Ducati, con base a pochi chilometri di distanza, abbia saputo risollevarsi dal crollo vissuto dopo l'iride conquistato in MotoGP da Casey Stoner, manco farlo apposta, nel 2007. Certo, anche lì la ricostruzione ha fatto le sue vittime, pensiamo all'ingegnere Filippo Preziosi, allontanato quando la discesa si stava facendo più severa, o le carriere di due big come Valentino Rossi e Jorge Lorenzo, sporcate dall'incapacità di domare una Desmosedici fino a quel momento troppo scorbutica per produrre qualcosa di valido e concreto. Lo spirito evidentemente più unitario e una dirigenza solida formata da Gigi Dall'Igna e Paolo Ciabatti, hanno portato pian piano al risveglio.

Non è da escludere inoltre, che Audi, di cui il brand di Borgo Panigale fa parte, abbia non solo permesso di gestire il progetto con maggiore tranquillità, prova ne sono le otto moto oggi schierate nella classe regina, ma altresì di procedere con un basso profilo, senza creare attese e fare proclami, per cui ogni vittoria sudata sul campo non viene vissuta come qualcosa di dovuto o scontato. I numeri del Mondiale in corso ci dicono che il brand bolognese svetta tra i produttori con 354 punti contro i 201 di KTM e nella graduatoria conduttori Pecco Bagnaia è proeittato verso il suo secondo sigillo consecutivo, seguito dai compagni Jorge Martin e Marco Bezzecchi. Uno strapotere, a cui si è arrivati goccia a goccia, ma che per Ferrari sembra quasi impossibile.

Colpa forse della troppa pressione, della politica interna poco sinergica e di quell'obbligo di arrivare prima di tutti gli altri, figli di una storia vissuta sotto i riflettori e plasmata in quest'ottica dal fondatore Enzo.

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